SO' DIECE ANNE
Dramma In Un Atto di Libero Bovio
'O SPUSARIZIO
Due atti (prosa, versi e musica) di Raffaele Viviani (vi collaborò Gigi PISANO)
Dalla brochure del programma distribuito in occasione della rappresentazione.
Da “So’ diece anne” a “’O Spusarizio”.
Un dittico che sembra nato apposta per essere presentato in un solo spettacolo. Eppure Libero Bovio che scrisse il primo lavoro in un atto “So’ diece anne” e Raffaele Viviani che compose “O’ Spusarizio” in due atti non sospettarono mai come queste loro opere teatrali potessero, in un posteriore esame critico, completarsi a vicenda sul piano di un discorso di poesia, di una particolare poesia.
L’atto unico di Bovio è la più spietata e realistica
rappresentazione della borghesia napoletana, in chiave drammatica la storia di Marietta Di Lorenzo e di Alfredo Lanzetta, dei due fidanzati eterni, cioè, che non riescono a sposarsi perché, come lui dice a lei:
“…So’ diece anne ca te spiego
Ca pe’ me ce vo’ n’impiego…”
ha un suo pathos desolato e struggente al tempo stesso che ricorda Cecov: ed è espressa in un linguaggio di rara efficacia emotiva.
Nella topaia dove la famiglia Di Lorenzo vive di miseria e di fantasia, là, in uno dei vicoli buj nelle vicinanze dei Tribunali, circola un’area di cose morte, di dagherrotipi polverosi, di “esemplari di pessimo gusto“; e tutti i componenti la tribù non riescono, pertanto, a reagire ad un senso di fatalità che sembra soffocarli e che, in fondo, scaturisce dalla loro stessa condizione umana di classe.
Sono nati per essere dei cadaveri oltre a Marietta, padre Don Achille e la madre Donna Rosina; eppure ciascuno di essi è ormai abituato a tanto. Sale dal vicolo sottostante il clamore di un festino popolare; e le note dell’allegria squarciona sommergono quei relitti di una società disgregata: è quasi una lezione che Bovio sembra voglia dare a sé stesso, oltre che ai suoi personaggi, impossibilitati a sentire vibrazioni umane, incapaci a stabilire colloqui col mondo esterno. Tutto questo mentre Alfredo Lanzetta, lascia per l’ultima volta la casa della fidanzata, costretto a partire per l’America, in cerca di fortuna…
Ne “’O Spusarizio” gli stessi temi umani di “So’ diece anne” appaiono tuttavia proposti in una lezione completamente diversa.
Qui è la strada che vive e si esprime in forme molteplici eppure di una viva coerenza di resa stilistica sul piano della rappresentazione; è il dramma di Peppeniello ‘o guantaro, al quale Donna ‘Ntunetta la mercante toglie la fidanzata costringendola a sposare uno sposo di fortuna; il dramma dello stesso sposo, Vincenzino l’orefice che apprende al momento del “finalmente soli” la morte del rivale, d’etisia, e dice alla sua ‘Mmaculatina: “Va, va da lui!”, non sono che occasioni perché il popolo parli, agisca, si muova, trionfi con la sua morale schietta di classe nuova.
Quello ch’era incomunicabilità fra i piccolo-borghesi di Bovio diventa colloquio e solidarietà fra i personaggi di Raffaele Viviani.
“O’ Spusarizio” nacque al “Teatro Umberto” che fu il centro motore del Teatro vivianesco; nacque come d’improvviso: versi, prosa e musica.
Il primo attore della compagnia di allora Gigi Pisano diede al lavoro una collaborazione schietta e fedele, e contribuì a dare a Raffaele Viviani molta materia di “preparazione” del primo atto.
Erano tempi eroici quelli: il ritmo delle “novità“ era incalzante; e del resto la produzione vivianesca del così detto “primo periodo“ degli atti unici già cedeva il posto ai “due atti”; già cominciava in quel lontano 1919 la stagione artistica che, in seguito, faceva dare al teatro di Viviani molti dei suoi capolavori.
La stagione che si doveva concludere con la maggiore opera del Nostro: “’E zingare” di cui Alberto Spaini, in un suo famoso saggio, osò parlare di Shakespeare.
SO' DIECE ANNE
Dramma in un atto di LlBERO BOVIO
Personaggi e interpreti:
Donn’Achille di Lorenzo - Ugo D'Alessio
Donna Rosina - Anna Renette
Marietta - Dolores Palumbo
Amalia - Ester De Marco
Achilluccio - Carlo Croccolo
Bebé - Giuseppe Anatrelli
Alfredo Lanzetta - Gennaro Di Napoli
Geretiello - Lello Grotta
Nunziello - Franco Folli
La piccola piccola Memè - Italia Carloni
Regìa di Vittorio Viviani
Scene di La Fera - Direttore di scena: Alfredo Melidoni
Organizzazione Generale: Ettore Novi
‘O SPUSARIZIO
Due atti (prosa, versi e musica) di RAFFAELE VIVIANI
(vi collaborò GIGI PISANO)
Personaggi e interpreti
Peppeniello - Ugo D' Alessio
Vincenzino - Rino Genovese
‘Mmaculatina - Ester De Marco
Donna ‘Ntunetta - Luisella Viviani
Zi Pascale - Enrico Demma
Carmiluccia - Rosalia Maggio
Donna Rosa - Dolores Palumbo
Gennarino 'o craparo - Carlo Croccolo
Mimì - Lino Mattera
Nanninella - Italia Carloni
Chiuvetiello - Nino Di Napoli
La donna alla finestra - Anna Maria Ascoli
Donn' Aniello - Giuseppe Anatrelli
Carmela - Anna Cannio
Dummineco - Giovanni Berardi
Assunta - Alma Viani
Michele - Franco Corcione
Virginia - Anna Renette
Don Gregorio - Enzo Turco
Rosaria - Anna Bruno
Ferdinandino - Lino Imperatrice
Il Iº suonatore - Vincenzo Servo
Il comico Colletta - Carlo Croccolo
Gli altri suonatori del « concertino » — folla.
A Napoli, nel 1919.
Regia di VITTORIO VIVIANI
Scene di La Fera - Direttore di scena: Alfredo Melidoni
Organizzazione Generale: Ettore Novi
GLI AUTORI
Estratti da “Ettore De Mura, Poeti napoletani dal seicento ad oggi”, Volume II - Alberto Marotta editore – Napoli, 1977.
Pagine 423-424 (Libero Bovio) e 461-462 Raffaele Viviani.
Alcune note sono tratte da “Wikipedia”:
qui per Raffaele Viviani (https://it.wikipedia.org/wiki/Raffaele_Viviani)
Per Raffaele Viviani anche: estratto da
“Raffele Viviani - Dalla vita alle scene” Guida Editori, Napoli, 1977.
Prefazione di Gigi Michelotti, 1928, pagine 9-10; pagine 13-14.
Libero Bovio…
…nacque a Napoli l’8 giugno 1883 e vi morì il 26 maggio 1942.
Figliuolo di Giovanni Bovio professore di filosofia di idee repubblicane e di Bianca Nicosia, maestra di pianoforte.
Sin da giovane si appassionò alla musica e al teatro dialettale. Dal padre ne derivò l’osservazione profonda, e la virtù di toccare il cuore con una sapiente e affettuosa immediatezza.
Alla morte del padre dovette abbandonare le scuole tecniche che frequentava senza molta convinzione per cercare un impiego.
Fu assunto prima in un giornale locale, il Don Marzio, grazie alla rendita corrisposta dalla madre per sovvenzionare il giornale e garantire al figlio il lavoro che amava.
Lavorò al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, presso l'Ufficio Esportazioni, dove ebbe l'opportunità di scrivere molto, anche se non smise mai di dedicarsi alle sue vere passioni che rimasero la musica ed il teatro. Il suo talento di scrittore di testi di canzoni napoletane piene di struggente passione amorosa e delicato lirismo si espresse ai massimi livelli quando divenne direttore di case editrici musicali, come La Canzonetta, dal 1917 al 1923 e dall'anno seguente alla Santa Lucia.
Fonte Wikipedia.
“Di grande ingegno e solida cultura, di squisita sensibilità, scrisse poesie e canzoni originalissime ch’ebbero vasta risonanza.
Fu il pioniere della «canzone drammatica», con la quale ottenne successi indimenticabili. Godé la più popolare simpatia, oltre che a Napoli, in tutta Italia.
Poeta vigoroso, in ogni suo componimento seppe inquadrare con sintetici ma profondi tocchi un dramma, uno squarcio di vita, tormentata ed amara, rievocativa e nostalgica. Vita trasfusa in lirica, l’arte sua.
Questo il segreto dei suoi successi innumerevoli. Ma con la corda drammatica, viva fu in lui l’ispirazione lirica: di un lirismo tutto particolare che fa di Bovio il cantore insuperato della piccola borghesia napoletana con le sue gioie e i suoi dolori. Tipica è la commedia “So’ diece anne”, il dramma di un amore che sfiorisce nell’attesa che «lui» trovi un’occupazione per poter finalmente sposare la fanciulla amata da tanti anni…
Signorinella, fra le sue canzoni, nel mentre fu tra le prime del repertorio «italiano», è nel cuore di milioni di uomini per la semplicità (ma quanta maestria di tecnica e qual dosaggio garbato del sentimento) con la quale il Poeta ha narrato la delicata storia di un amore della prima giovinezza. Pochi seppero, come lui, comporre nel breve giro della strofa e del ritornello un racconto, uno stato d’animo, una nostalgia con tanta immediatezza e tanto potere di penetrazione nel cuore degli uomini.
Sicché Bovio rimane anche un maestro e un modello per la poesia « per musica.
Affascinante conferenziere e forbito novelliere, in tutti i suoi scritti vi sono immagini vive di infinito amore per Napoli.
Dal teatro d’arte, al quale offrì non pochi scultorei lavori, raccolse trionfi a non finire. Iniziò giovanissimo la sua carriera nel giornalismo e collaborò al “Monsignor Perrelli”, al “Roma”, al “Giornale della sera” con lo pseudonimo di «Parpignol » ed a molte riviste e giornali letterari.”
Da “Ettore De Mura, Poeti napoletani dal seicento ad oggi”, Volume II - Alberto Marotta editore – Napoli, 1977. Pagine 423-424
Raffaele Viviani…
…(Viviano all’anagrafe) nacque a Castellammare di Stabia il 10 Gennaio 1888 e morì a Napoli il 22 Marzo 1950.
Raffele Viviani nella sua biografia “Dalla vita alle scene” Guida Editori, Napoli, 1977, inizia così a raccontare di lui…
“Nacqui a Castellammare di Stabia, la notte del 10 gennaio 1888, all'una e venti, figlio di un cuor d'oro di donna e di un padre cappellaio, che più tardi divenne vestiarista teatrale. Un
sequestro al suo magazzino, il giorno dopo la mia nascita, l'obbligò a tornare a Napoli, sua città nativa, e a darsi con maggior lena alle cose teatrali che egli, fin da giovanetto, prediligeva. Riprese le antiche amicizie e s'impiantò. Uomo ingegnosissimo ed onesto fino allo scrupolo, costruiva tutto con le sua mani; finì così per crearsi un vasto corredo di attrezzi teatrali e di indumenti, con i quali forniva alcuni teatrini dei quartieri più eccentrici. Tale industria lo aiutò a tirare innanzi la vita, ed a rimettere insieme quello che in gioventù aveva qua e là disperso per il suo temperamento generoso e vivace. Che Iddio lo abbia in gloria!
Fu così che accompagnandolo mentre portava roba in uno di quei teatrini e precisamente in un teatro di marionette a porta S. Gennaro (tutt'ora esistente) [N.d.R.: siamo quasi sicuramente tra il 1920 e il 1928] incominciai a divertirmi alle vicende di Orlando e di Rinaldo. Cantava, tra i numeri che completavano lo spettacolo marionettistico, un certo Gennaro
Trengi, tenore e comico, notissimo per i suoi vestiti multicolori. Io, che realmente me lo gustavo, ero riuscito ad imparare a memoria le sue «cose» che non assommavano a più di cinque o sei. Una sera il Trengi si ammalò. Lo spettacolo di varietà correva grave pericolo. Il pubblico avrebbe preteso certamente o Trengi, o... i soldi. Non c'era altro rimedio che levare porta (sospendere la rappresentazione). Aniello Scarpati, il proprietario dei «pupi» ebbe una idea.
- Facciamo cantare 'o figlio 'e Rafele (mio padre).
Accettai la proposta, con entusiasmo. Mi ero abituato ad imitare Trengi nei gesti e nella voce ed ero tutto preso già dall'ardente desiderio della scena. Fui vestito subito con l'abito di un «pupo», che mia madre raffazzonò alla meglio e mezz'ora dopo la musica, una tromba, un clarino ed un trombone attaccavano l'introduzione della «Ballerina» Mi presentai: non più alto di ottanta centimetri, compreso il tubino, con il bastoncino nelle mani, che facevo scorrere fra le dita. Udii un vociare confuso, una grande risata, e poi un silenzio di tomba. Ma non ebbi paura. Avevo quattro anni e mezzo e cantai... prima con voce tremula, rinfrancandomi a mano a mano, sino ad acquistare la più completa padronanza tanto che il pubblico (si pagava allora due soldi ai primi posti e un soldo ai secondi) mi compensò con prolungate acclamazioni. Il successo fu entusiastico. Trengi ristabilitosi chiedeva il suo posto, ma, come sempre accade nella vita, non l'ebbe più.
Fu così l'inizio della mia carriera.
Anche la stampa si occupò del caso unico, e la gente, dai quartieri più lontani accorreva ad assistere alle esibizioni del bambino-prodigio. Dopo qualche mese, mio padre, da uomo accorto, pensò che lo scherzo era già durato un po' a lungo. Ebbi così anch'io la mia paga: due lire serali, ed ebbi anche tanti bei vestitini a colori, come usava il Trengi. L'uguaglianza della tinta si estese alla cravatta, alla camicia, al nastro che reggeva la caramella senza vetro, e perfino al bocchino che reggeva la sigaretta di cioccolata, sigaretta che divoravo regolarmente dopo ogni spettacolo: quattro serali ed otto le domeniche.”
Nella sua “Lettera al lettore” a riguardo di Gianni Michelotto, autore della prefazione al suo libro di memorie, scrive:
“Caro lettore, ti sono grato per aver preso in mano questo libro che contiene le mie memorie. Esse furono scritte non per vanità, ma per l’incontro di circostanze per me care e seducenti.
A Firenze, nel febbraio scorso, ricevetti dall’amico Gigi Michelozzo, condirettore de “La Stampa” di Torino, una lettera, con la quale mi chiese per il suo giornale la narrazione della mia vita, aggiungendo, bontà sua: «chissà che cosa spassosa, colorita ed amara uscirà dalla tua penna! Sarà una letizia per i nostri lettori».
Gli mandai la prima «puntata». Così comparvero successivamente, sul diffuso giornale torinese, cinque articoli delle mie memorie.
Come e perché poi questi articoli sono stati raccolti in un volume?
L’editore Licinio Cappelli di Bologna mi scrisse, chiedendomi di farne un libro per aggiungerlo a una sua collana di altri del genere; ed io risposi accettando. Ecco tutto.
Come vedi, mio egregio lettore, sia nel primo caso che nel secondo, io ho ceduto ad un invito. Questo libro parla di come io nacqui, di come io pervenni, di come io ho sofferto e a prezzo di quali sforzi mi conquistai la notorietà: cose tutte che ti possono riguardare fino a un certo punto; ma non sono prive di ammaestramento. È tutta una vita di pazienza e di fede, che ti narro, di fede soprattutto. […]”
Dalla prefazione di Gigi Michelotti (1928) [N.d.R.: all’epoca condirettore de “La Stampa” di Torino] in “Dalla vita alle scene” Guida Editori, Napoli, 1977.
“Caro Raffaele,
tu vuoi, caro Raffaele, che io premetta qualche parola alle tue «Memorie». Ne indovino il perché e immagino anche il discorso che devi avermi rivolto parlando a te stesso: «Attore mi ha fatto natura; commediografo mi sono fatto da me; ma se ho messo insieme un libro la colpa è tua; scusami quindi tu con quei lettori ai quali sembrerà che io abbia troppo presunto di me steso».
Accetto la parte di responsabilità che mi spetta perché ho la certezza che quanti leggeranno questo tuo libro mi saranno grati per l’averti persuaso a scriverlo. Del teatro italiano d’oggi [N.d.R.: l’autore scrive nel 1928], amico Viviani, sei una delle figure rappresentative, non solo per qual molto di eccellente che è in e nella tua arte, ma per la ragione che non si riesce scoprire in te alcun legame di parentela con altri. La tua personalità artistica si è formata attraverso lunghe e faticose esperienze; e poiché nella tua vita non hai avuta per compagna che la tua volontà, e unicamente da questo sorretto, hai conquistato la notorietà, la popolarità e la fama, è bene di queste tue dure fatiche resti traccia. Possono, ad altri, servire di insegnamento.
Attore sei nato; non c‘è bisogno di leggere queste tue pagine per capirlo; basta vederti sul palcoscenico quando reciti, passare qualche momento con te quando sei fuori di scena, e, senza avvedertene continui a recitare. Le doti naturali che sono necessarie a chi aspira ad essere «uno e centomila», e tale deve essere l’attore, sono tutte in te. Di tale materia mobile e sensibile sei fatto, che senza bisogno di trucchi, non solo il tuo volto, ma tutto te stesso, a tuo capriccio, si trasfigurano. E i tipi che tu crei non sono delle imitazioni servili, il tale od il tal altro che tu hai visto e ricopî, ma creazioni del tuo spirito che, quando vuoi, vengono fuori da te e prendono ad agire.
Grande dono il tuo di poter vivere nello stesso istante molteplici vite.
In queste tue «Memorie» fa la sua comparsa quello stesso Viviani, dinamico e radioso, che si presenta ogni sera, in questo o in quel teatro del nostro bel Paese. Ma chi sa leggere tra riga e riga, cogliere, tra episodio ed episodio, il sottile e prezioso filo che li unisce, ha la rivelazione di quella che è la poesia della tua vita. Crolla tutto il mondo effimero che ha vita dalla tua fantasia e che si realizza per la tua arte, (quel mondo che ti fa idolo della folla e per il quale sembra tu viva) e viene fuori quell’altro mondo, quello che tieni gelosamente chiuso nel cuore: la casa, la moglie, i bimbi. Tuto te. Ed anche un po’ di clelo vien fuori, un po’ di quel bel cielo di Napoli che ti è necessario come il pane per vivere e per cantare.
Gigi Michelotti (1928)”
“Fu un eccezionale, meraviglioso artista, dalle multiformi attività.
Poeta, musicista, commediografo, regista e attore, ha dato tutto sé stesso nel tormento, intensamente vissuto, delle sue pittoresche e toccanti ispirazioni, che hanno fornito indimenticabili capolavori.
Nell’abbondante produzione del Viviani, da quella poetica a quella teatrale, passano – vivi e palpitanti – tipi e figure umane della Napoli più intima e sofferta.
In lui, come è stato notato, la poesia – e la musica - nasceva proprio per bisogno istintivo, per necessità insopprimibile di espressione, quando il discorso non bastava più a contenere la piena dei sentimenti: allora, nel bel mezzo d’una scena di commedia, il protagonista canta in versi. E sono canti di nostalgia “Scurdato ‘nterra a ll’Isola”, di “‘A festa ‘e Piererotta”, di ironia “‘O nnammurato mio”: forti, senza lenocini, magari dal verso talvolta non terso, ma con una enorme carica di vitalità e di sincerità – spesso di amarezza – che li scolpisce nel cuore dell’ascoltatore.
Ha creato un teatro di fama internazionale che ha nutrito con oltre sessanta commedie e con ininterrotte interpretazioni, dal 1918 al 1946.
È stato anche protagonista, soggettista e sceneggiatore di tre o quattro films bellissimi.
Ha scritto un libro di memorie e due di poesie dialettali, profondamente napoletane e scultoree, dense di osservazioni e di umanità.
In questi ultimi anni [N.d.R.: poiché il volume dal quale è stata estrapolata la nota è stato pubblicato nel 1977 si ritiene che l’autore si riferisca a quel periodo storico] c’è stato un notevole ritorno di interesse e di critica verso le opere del Viviani. Le sue commedie sono state riprese dalla Compagnia di Nino Taranto, mentre l’Ilte stampava, in due preziosi volumi, quasi tutto il suo teatro. In un’altra pubblicazione sono state raccolte tutte le sue poesie.
Da “Ettore De Mura, Poeti napoletani dal seicento ad oggi”, Volume II - Alberto Marotta editore – Napoli, 1977. Pagine 461-462